RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Ma la giustizia può farli licenziare
Genova, 20 maggio 2010
SE LA CASSAZIONE CONFERMERÀ LA SENTENZA
MA LA GIUSTIZIA
PUÒ FARLI
LICENZIARE
Sarà applicata l’interdizione ai pubblici uffici
MATTEO INDICE
Immaginate il capo dell’Fbi con una condanna sul groppone
per aver falsificato verbali decisivi, e
il rischio concreto d’essere cacciato
entro pochi mesi finendo in affidamento ai servizi sociali. Oppure il
principe degli analisti Cia che si
prende quattro anni e si presenta in
ufficio ogni giorno facendo il conto
alla rovescia, in attesa dell’ultima
sentenza che deciderà se deve cercarsi un altro lavoro. L’Italia non è
l’America, ma l’Appello per il raid alla Diaz del 2001, se confermato dalla
Cassazione, farà tabula rasa dei più
importanti investigatori a prescidere dalla solidarietà politica incassata
ieri. L’interdizione dai pubblici uffici
ne determinerebbe infatti l’automatico allontanamento dal ministero
degli Interni e non solo. Di più: avendo preso oltre tre anni, l’indulto
estingue una parte della pena. Il resto non dovrebbero eventualmente
scontarlo in galera, ma magari svolgendo gratis lavori di pubblica utilità. Quella che per anni è parsa una
prospettiva surreale si materializza
all’improvviso e i tempi sono strettissimi. Fatti due conti, è assodato
che la Cassazione deciderà nello spazio di dieci, massimo dodici mesi.
Entro quel lasso di tempo, insomma,
si saprà, per esempio, se Francesco
Gratteri, l’uomo che coordina le più
importanti inchieste sulla criminalità organizzata, potrà fare ancora il
poliziotto. O se Giovanni Luperi, il
numero uno del Dipartimento analisi dei servizi segreti, dovrà lasciare la
sua (quotatissima) poltrona di 007.
«Incredibile, non lo
avremmo mai pensato», è la frase sussurrata dai “big”dopo la debacle dell’altro ieri, rinforzata
dalle parole dei legali. Marco Valerio
Corini assiste Gratteri e Caldarozzi:
«Ci vuole coraggio,
per pronunciare
una sentenza del genere, un scientifico ribaltamento, quasi una pulizia
militare, del primo grado. La Cassazione dovrà dirci quali giudici non
hanno capito nulla». Il terremoto
non risparmia neppure quadri medioalti. Dall’ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola, vicinissimo a una nuova promozione e ritenuto da alcuni in
corsa per guidare
la questura di Palermo, ai superfunzionari di varie
città italiane: sono
infatti ufficialmente condannati,
ma dirigono le rispettive squadre
mobili, Filippo
Ferri a Firenze,
Salvatore Gava all’Aquila, Fabio Ciccimarra a Taranto. Tutti, fra un anno,
rischiano di essere espulsi dalla polizia, come gli otto “picchiatori”, gli
uomini del Reparto mobile di Roma
che entrarono per primi e manganellarono. Quelli però non li hanno promossi, ma trasferiti mentre il loro capo Vincenzo Canterini (la condanna
più alta, cinque anni) andava in pensione: «Così ha detto è come lo Stato, anzi la magistratura, ci ripaga per
aver trascorso anni in mezzo alla
strada rischiando la vita». L’Italia ha
un bel po’ di poliziotti a termine, da
martedì. Uno invece aveva lasciato
volontariamente la divisa prima dell’Appello: è l’ex agente Michele Burgio, che guidava il furgoncino su cui viaggiavano le false molotov, «l’ultima ruota del carro», nelle parole di
più colleghi. Un capro espiatorio perfetto, che prendeva ordini da tutti e
ha semplicemente spostato il sacchetto delle bottiglie incendiarie su
input d’un superiore, avvicinandolo
alla scuola. Secondo i più scafati investigatori del nostro paese, quel gesto li ha ingannati e indotti a firmare
il falso. Per i giudici è impossibile e
Burgio è stato assolto. Da un po’ di
tempo fa l’impiegato ad Albenga.